Napoleone Cerino

 
  Nella monumentale rovina del cosiddetto «Reale» albergo dei poveri, Matteo Fraterno trova, e francamente ruba, il fascicolo 4641 di un Archivio abbandonato, carta logora e realistica, 5 maggio (sic) di circa 100 anni fa «oggetto» tal Cerino Giuseppe di Napoleone, autodichiarante si (il Napoleone) pochi anni addietro in anagrafe ventiduenne«scultore», oggetto produttore di oggetti dunque - Matteo pensa e tende una trappola di arte a questo punto poverissima, «trape art» o arte mastrillo, e convoca alcuni addetti ai lavori, vigili e professori; a sfogare competenze e acquisizioni intorno all'artista fantasma, alla reliquia necromantica assoluta, al dono dello scarto.

Non so dire se forse di nuovo l'artista si assume così un compito di fornire la glossa più generale dell'ordinamento e dell'esistenza di una comunità di viventi; o se forse l'identificazione virtuale con il meno mercificabile degli scarti, col non-funzionale al quadrato, non testimoni soltanto l'inutile ma il nocivo, l'ambivalenza della ambivalenza, e diciamolo un disagio della civiltà senza fondo.

Convocato da Matteo per un contributo, diciamo storico, sulla Napoli degli ultimi decenni dell'800 ho a mia volta per fortuna fatto ricorso alle competenze ben maggiori e professionali di mia sorella Marcella Marmo, storica dell'economia e della società (segnatamente meridionale e napoletana) dell'età contemporanea. Io mi riservo più semplicemente qualche riflessione sull'evento (già scritta sopra) e un tentativo, un vero abbozzo, di riflessione più generale e storica in senso lato (che espongo qui di seguito). Mi sembra del resto che l'assunto della divisione del lavoro sia un aspetto strutturale in questo lavoro di Matteo (più di Odisseo legato all'albe ro per cercare di ascoltare le sirene). Non sarebbe inutile tenere in piedi la funzionale distinzione tra soggetto (l'artista) e oggetto (l'arte), anche perché in questo episodio le due categorie propongono un gioco complesso. Ma la produzione come è noto non produce soltanto l'oggetto per il soggetto ma anche il soggetto per l'oggetto. E dunque limitiamoci a registrare questa parte del di scorso, che non ci aiuterebbe a tenerci fuori della trappola di Matteo.

Parlando quasi solo del soggetto ricordiamo come l'età arcaica, con significativi ritorni anche recenti, nei suoi oggetti compattava l'uso funzionale, il simbolo mitologico, la figura o immagine. Prima necessaria e sociale, poi essenziale e volontaria sarà invece la rottura, l'irruzione dell'altro che manomette la forma, la ricerca dell'altro presso ciò che si è perduto. E si può accennare ad altri schemi di riflessione. Nell'età antica l'artista non è l'eroe, lo immagina, lo canta, lo figura; 100 anni prima del fascicolo di Cerino l'artista giunge definitivamente a identificarsi con l'eroe (tanto peggio forse per entrambi, pagine e tele bianche, scarti d'artista eccetera). Mi sembra che il lavoro di Matteo colga gli aspetti estremi meta - artistici di questa serie di disposizioni, diciamo pure storiche, proponendo un girotondo di per sé evanescente intorno all'artista fantasma bianco, all'eroe sparito, impressione decolorata e snaturata. Matteo mi sembra voglia farci cogliere solo la morte di ciò che è morto «forse in America», e appena come un'ombra inutile e non storica evocare debolmente qualcosa che ha a che fare con la «povertà» di Napoli e del mondo.

Vittorio Marmo